MIRTA VERNICE: IL RITARDO NEL LINGUAGGIO, UN TESTO PER LO SPECIALISTA

I MASCHI CON SINDROME DI KLINEFELTER PRESENTANO UN QUOZIENTE INTELLETTIVO ALLINEATO CON LA MEDIA DELLA POPOLAZIONE MASCHILE. NONOSTANTE CIÒ, QUESTI BAMBINI SPESSO PRESENTANO DIFFICOLTÀ DI LINGUAGGIO. PER QUESTO LE VISITE DI CONTROLLO DOVREBBERO SEMPRE COMPRENDERE UNA VALUTAZIONE LOGOPEDICA E UNA CONSULENZA DEL NEUROPSICOLOGO.
L’obiettivo non è semplicemente “imparare a parlare” poiché i bambini ,in ogni caso, nei primi anni di vita, acquisiranno la lingua alla quale sono esposti senza un insegnamento formale. L’obiettivo è piuttosto evitare le conseguenze a cui il ritardo del linguaggio li espone. I rischi sono quelli relativi al progressivo sviluppo di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) e di possibili disturbi emozionali e relazionali che non dobbiamo assolutamente sottovalutare.
Spesso pensiamo che il linguaggio corrisponda semplicemente ad un “dare etichette” agli oggetti e alle azioni. In realtà la competenza linguistica è frutto del funzionamento di un sistema molto complesso, basato su livelli diversi di conoscenza (fonetico, semantico-lessicale, sintattico, pragmatico) in interazione tra loro. Questo sistema di conoscenze dipende dallo sviluppo e dalla maturazione di strutture neurali e di processi fisiologici, oltre che da un’adeguata esposizione ad un input linguistico.
E’ molto importante quindi individuare e saper distinguere un disturbo linguistico in età precoce, convinti che si possa così più facilmente intervenire anche per prevenire eventuali rallentamenti nello sviluppo del linguaggio.
Abbiamo chiesto alla Dottoressa Mirta Vernice, neuropsicologa, docente presso l’Università’ di Urbino, di aiutarci a far comprendere quanto sia importante monitorare eventuali problemi nell’acquisizione del linguaggio, promuovere i prerequisiti dell’apprendimento e individuare e sostenere i bambini che presentano ritardo nel linguaggio.

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Prima dell’intervista abbiamo chiesto alla Dott.ssa Mirta Vernice di presentarsi:

Sono Mirta Vernice ricercatrice in Psicologia Generale presso l’Università di Urbino. Dopo il dottorato all’Università di Pavia, per circa dieci anni ho lavorato all’Università di Milano Bicocca come ricercatrice post-dottorato occupandomi di acquisizione del linguaggio in bambini a sviluppo tipico e atipico (bilingui, bambini con Disturbo del Linguaggio e dell’Apprendimento). Oltre alle ricerche sull’età evolutiva, mi interesso di produzione e comprensione sintattica nell’adulto e di neuropsicologia del linguaggio. Nel corso della mia formazione, ho avuto modo di collaborare con il Laboratorio di Psicologia Cognitivo Comportamentale dell’Istituto Neurologico IRCCS Mondino di Pavia, diretto dalla dott.ssa Annapia Verri. Durante questo periodo ho potuto approfondire aspetti relativi allo sviluppo linguistico e cognitivo dei pazienti con sindrome di Klinefelter che afferivano al servizio.

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  1. Sembrerà banale ma vorremmo sapere cos’è il linguaggio e da quali livelli è costituito
    Il linguaggio è una abilità umana innata che emerge naturalmente nel bambino e che in quanto tale non può essere appresa. Questa è la ragione per cui nei bambini si parla di acquisizione del linguaggio e non di apprendimento. Questa funzione cognitiva umana è particolarmente complessa perché costituita da diverse componenti che hanno tempi e traiettorie di sviluppo specifici e che possono quindi risultare selettivamente deficitarie.
    Le componenti formali del linguaggio includono:
    I) la fonetica e la fonologia, riferite al livello di elaborazione dei suoni della lingua;
    II) la morfologia, ovvero la struttura interna delle parole di una lingua (per esempio, la parola “case” ha una struttura interna costituita da una radice cas- e dal suffisso o morfema -e che specifica il numero, in questo caso plurale);
    III) il lessico, inteso come l’insieme delle parole che siamo in grado di comprendere e di produrre in una lingua;
    IV) la semantica, ovvero i contenuti e i significati associati alle parole o più in generale, al messaggio che intendiamo veicolare;
    V) la sintassi, che include le regole di combinazione delle parole di una lingua. Tali regole ci permettono di veicolare significati opposti a seconda dell’ordine che le stesse parole assumeranno nella frase (per es. “il cane insegue il gatto” o “il gatto insegue il cane”). Di conseguenza, il significato della frase non dipende solo dalle singole parole che la compongono, ma anche dall’ordine in cui esse si presentano;
    VI) la pragmatica, la capacità di usare adeguatamente ed efficacemente il linguaggio nella situazione di scambio comunicativo con un interlocutore.

2.Sappiamo esserci una serie di sintomi e segni specifici per ogni disturbo linguistico. Cosa si intende per apprendimento del linguaggio atipico o in ritardo rispetto alle attese?
Come si diceva prima, il linguaggio non si apprende, ma si acquisisce. L’aspetto più interessante legato a tale processo innato, è che in tutte le lingue del mondo, incluse quelle segnate (per es. la LIS Lingua Italiana dei Segni), ci sono delle tappe di sviluppo che sono universali. Per fare un esempio, la comparsa della lallazione avviene in genere intorno ai 6 mesi, le prime parole verso i 12, le prime combinazioni di parole a 24, la cosiddetta “esplosione del vocabolario” tra i 18 e i 24 mesi. Queste tappe sono riscontrabili in tutti i bambini, pur con una naturale variabilità individuale. Si parla di sviluppo atipico del linguaggio quando la traiettoria di acquisizione è caratterizzata da un significativo rallentamento nel raggiungimento di queste tappe universali che invece dovrebbero ritmare il percorso.

3.Per essere sicuri che un bambino abbia dei disturbi specifici del linguaggio, bisogna accertare che sia nella norma la sua “intelligenza non verbale” tale valutazione è competenza del neuropsicologo o ci sono altre figure preposte?
Oltre al neuropsicologo, la figura a cui far riferimento è il neuropsichiatra infantile. È inoltre importante citare la figura del logopedista che contribuisce con la sua valutazione a fornire un quadro completo delle abilità cognitivo-linguistiche del bambino.

4.Nei bambini con aneuploidie dei cromosomi sessuali sono state individuate diverse forme di deficit linguistici, oppure sussistono caratteristiche in comune rispetto al ritardo nello sviluppo del linguaggio?
Il rallentamento del linguaggio che si riscontra in gran parte dei bambini con sindrome di Klinefelter (KS) ha delle caratteristiche simili a quello dei bambini con un disturbo evolutivo del linguaggio, e, stando ad una ipotesi di ricerca sulla sua eziologia (Bishop, 2011), ha con esso una base genetica comune.

5.Quali sono i disturbi del linguaggio più frequenti nella sindrome di Klinefelter?
nelle prime fasi di acquisizione del linguaggio i dati suggeriscono che le maggiori vulnerabilità si possano manifestare in modo prevalente nelle competenze lessicali e morfosintattiche. In misura minore, si riscontrano in alcuni bambini tratti disprattici, riferiti alla capacità di pianificare gli atti fonatori necessari a produrre una certa parola. Nelle età successive, le aree che risultano maggiormente deficitarie riguardano le abilità pragmatiche, la memoria verbale e i processi di alfabetizzazione (l’apprendimento e l’automatizzazione di lettura e scrittura), conducendo a profili di Disturbo Specifico di Apprendimento, quali Dislessia, Disortografia, ecc. Non è un caso che i pazienti con KS siano stati definiti in letteratura come “un modello genetico della Dislessia”.

6.Quali sono i disturbi del linguaggio più frequenti nella sindrome di Turner?
In realtà il linguaggio nella sindrome di Turner (TS) non è un’area di particolare vulnerabilità. Le bambine con questa sindrome manifestano infatti deficit più marcati proprio nelle abilità non linguistiche (competenze visuospaziali e funzioni esecutive, memoria visuale, ecc). Per quanto riguarda le competenze linguistiche, a parte alcuni studi che hanno sottolineato come una piccola parte di queste pazienti possa riportare deficit soprattutto sul piano ricettivo (comprensione), si riscontra uno sviluppo del linguaggio nella norma. Addirittura, per quanto riguarda gli apprendimenti, si assiste ad una condizione di “iperlessia” intesa come una abilità di decodifica in lettura superiore alla norma, talvolta in associazione con difficoltà nella comprensione di ciò che si legge. L’aspetto interessante è che l’’iperlessia in queste ragazze non coesiste necessariamente con difficoltà di comprensione. Nella TS sembra rappresentare soltanto un autentico ipersviluppo di un’abilità. Le spiccate abilità di lettura controbilanciano le difficoltà spaziali che invece sono più comuni.

7.Quali sono i disturbi del linguaggio più frequenti nelle varianti 48 e 49 rare?
In queste forme rare il livello cognitivo generale risulta progressivamente compromesso all’aumentare del numero dei cromosomi soprannumerari, con deficit che si manifestano soprattutto nelle abilità adattive. Questo rende più complessa la valutazione e per questo sono pochi gli studi riferiti nello specifico al piano linguistico dei quali ci possiamo avvalere. Alcuni dati tuttavia sottolineano come, soprattutto nei 49,XXXXY, sia stata riportata una prevalenza di disprassia verbale, intesa come deficit relativo alla pianificazione e articolazione dei movimenti fonatori necessari alla produzione della parola.

8.Anche nella sindrome di Jacobs si evidenziano frequentemente gravi disturbi del linguaggio, ci spiega quali sono i livelli diversi di conoscenza (fonetico, semantico-lessicale, sintattico, pragmatico) maggiormente implicati ?
I pazienti con sindrome di Jacobs (JS) manifestano in genere un disturbo del linguaggio più grave e pervasivo di quello dei dei pazienti con KS. Sul piano ricettivo, i parlanti con questa sindrome mostrano deficit nella comprensione lessicale, in particolare nell’elaborazione del linguaggio non letterale figurativo così come nell’interpretazione delle ambiguità sintattiche. Anche nell’espressione orale e nella memoria verbale sono presenti rallentamenti. Questo deterioramento del linguaggio ha importanti implicazioni sugli apprendimenti e quindi sul rendimento scolastico di questi ragazzi e ne fa, di conseguenza, degli studenti particolarmente vulnerabili.

9.Come si spiega il fatto che alcuni bimbi con aneuploidie dei cromosomi sessuali pur manifestando in qualche modo la comprensione del parlato non riescano ad esprimersi adeguatamente?
Nel linguaggio il piano recettivo ed espressivo sono distinti, quindi è possibile che si presenti un deficit di produzione a fronte di una comprensione preservata. Bisogna però sottolineare che la componente recettiva precede sempre e supporta lo sviluppo di quella espressiva. In altre parole, il bambino che ha una comprensione almeno in parte preservata, a fronte di una produzione verbale compromessa, presumibilmente avrà una prognosi più favorevole rispetto ad un bambino che invece presenta un deficit di comprensione.

10.Se in un bambino con sindrome di Klinefelter viene rilevato che la comprensione linguistica è clinicamente nella norma è utile indagare se sussistono fattori fisiologici a spiegare il disturbo di produzione del linguaggio parlato e scritto?
La valutazione linguistica è comportamentale e presuppone sempre sia il testing del piano ricettivo che di quello espressivo. I dati fisiologici (es. risposte elettrofisiologiche del soggetto, movimenti oculari) in genere non vengono usati per la valutazione linguistica. Nella pratica clinica si valuta sempre il funzionamento linguistico non solo in comprensione ma anche in produzione, e lo si fa mediante la somministrazione di test comportamentali (riferiti al linguaggio e agli apprendimenti) volti ad indagare oltre alla competenza recettiva, anche quella espressiva del bambino.

11.Cos’è la disprassia verbale?
La Disprassia Verbale è un disordine del linguaggio su base neurologica caratterizzato da una sistematica difficoltà nel pianificare, monitorare e realizzare in modo accurato gli schemi motori necessari per articolare una certa parola. Il bambino con disprassia quindi non ha un deficit dell’apparato fonatorio – quelle strutture anatomiche che ci servono per parlare; il suo problema è legato al processo di programmazione degli atti motori che gli permettono di produrre quella parola.

12.La difficoltà nella rappresentazione dei verbi e la conoscenza spaziale legata all’azione espressa dai verbi sono collegate tra loro?
La cognizione spaziale dipende in gran parte dalle esperienze che il soggetto fa di sé, del proprio corpo nello spazio e tale conoscenza precede ogni altra forma di cognizione, tra cui quella linguistica. Per acquisire il significato dei verbi e della loro rappresentazione interna è necessario integrare questa conoscenza spaziale con quella che deriva da altre componenti linguistiche quali il lessico e la sintassi. Si può quindi ritenere che queste due forme di conoscenza siano in qualche modo legate tra loro, anche se, ripeto, perché un bambino sappia rappresentarsi il significato di un verbo all’interno di una frase è necessario innanzitutto che attinga alle sue conoscenze di lessico e sintassi, oltre che a quelle di natura spaziale.

13.La neuropsicologia, quali strumenti valutativi standardizzati applica allo studio di pazienti e in base a quale tipo di sintomo?
La neuropsicologia si serve di test standardizzati corretti per età e scolarità per valutare il funzionamento cognitivo umano. Proprio per questo non occorre alcun sintomo per essere sottoposti ad un test che valuti per esempio la nostra memoria di suoni linguistici, la nostra abilità di rievocare delle parole, la nostra attenzione focalizzata o sostenuta, o ancora la nostra competenza in comprensione lessicale o sintattica. I vari test proposti ci permettono di sapere per ciascun soggetto, non necessariamente un paziente, e in ogni momento della sua vita, come si colloca la sua prestazione rispetto alla popolazione di riferimento individuata per età (per es., se la prestazione sarà nella media, sopra la media, ecc.).

14.Esplorare in maggior dettaglio la relazione tra strutture neurali e funzioni cognitive può aiutarci a chiarire la natura dei deficit presentati dai pazienti e ad intervenire in modo più appropriato?
Indubbiamente. I modelli neuropsicologici nascono allo scopo di descrivere i meccanismi di funzionamento sottesi alle funzioni cognitive umane e i relativi network neurali coinvolti, per poter individuare punti di forza e di debolezza di ciascun paziente ed agire di conseguenza nella riabilitazione.

15.I disturbi dell’apprendimento possono derivare da situazioni di difficoltà linguistiche pregresse?
Sì. Non è un caso che, stando a dati di ricerca italiani, circa il 40% dei bambini che in età scolare ha ricevuto una diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento manifestasse un rallentamento significativo del linguaggio, al punto tale da essere considerato un “parlatore tardivo”. Il “parlatore tardivo” è quel bambino che a due anni produce meno di 50 parole e che a 30 mesi non è ancora in grado di combinare almeno 2 parole. La prognosi di un parlatore tardivo può essere favorevole in circa il 50% dei casi: il bambino manifesta un semplice rallentamento del linguaggio, che viene recuperato naturalmente col tempo, facendo sì che il bambino si riallinei ai suoi pari età nel corso degli anni successivi. Al contrario, vi è circa un 50% di parlatori tardivi che evolverà manifestando un profilo compatibile con un Disturbo del Linguaggio, e, in età scolare, un Disturbo di Apprendimento. Questa è la ragione per cui è così importante osservare con attenzione, mediante screening adeguati, l’evoluzione del linguaggio nei bambini già al passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia.

16.Pensa sia importante affinare l’approccio anatomo-clinico allo studio delle basi neurologiche implicate nell’acquisizione del linguaggio per prevenire deficit di apprendimento?
Lo studio delle basi neurali del funzionamento linguistico umano rappresenta un aspetto cruciale da cui partire, a livello innanzitutto di ricerca, per approfondire i network neurali sottesi alle abilità linguistiche e di alfabetizzazione. Da un punto di vista clinico, non possiamo tuttavia prescindere da dati comportamentali che sarebbe necessario raccogliere fin dalle età più precoci dello sviluppo per rilevare eventuali atipie nel processo di acquisizione del linguaggio. Dal momento che lo scopo, più che prevenire, è individuare precocemente i precursori di quello che potrebbe poi manifestarsi in età successive come un Disturbo del Linguaggio, e in età scolare come un Disturbo dell’Apprendimento, è necessario già dai 3 anni prevedere screening in grado di testare le competenze linguistiche di base attese per l’età. Questa tra l’altro è proprio l’indicazione dell’ultima Consensus Conference sul Disturbo Primario del Linguaggio che ha avuto luogo nel 2019.

Intervista gentilmente rilasciata dalla Dott.ssa Mirta Vernice – Neuropsicologa al Gruppo SVITATI 47

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